IL 2-7-2, LA FORMAZIONE NASCOSTA, IL CAPITANO A ROTAZIONE: PERCHé THIAGO MOTTA è RIVOLUZIONARIO

La Thiagocrazia è un mondo quasi perfetto in cui la sostanza conta più dell’apparenza e il sudore, sul campo di allenamento, più dei soldi spesi sul mercato. Solo chi non conosce Thiago Motta può sorprendersi che Samuel Mbangula, un ragazzino di vent’anni senza nessuna esperienza in serie A, venga preferito a Douglas Luiz, pagato qualche settimana fa cinquanta milioni di euro. È successo contro il Como, nella prima partita di campionato e succederà ancora perché la logica del nuovo allenatore è semplice, persino banale, eppure rivoluzionaria nel calcio di oggi: tutti sono uguali davanti alla legge del campo, giudice (implacabile) dell’ex tripletista dell’Inter. Gioca chi lo merita, la filosofia dell’italo brasiliano e più democratico di così non potrebbe essere. Aspettiamoci altre sorprese a breve, magari già lunedì a Verona, contro lo scatenato Hellas che ha rimpicciolito il Napoli e dove mancheranno due pedine importanti, Thuram e Weah, fermati da problemi muscolari e fuori sino a dopo la sosta per le Nazionali.

Poco male avrà pensato Thiago nel suo ufficio alla Continassa dopo aver rivisto il luccicante 3-0 con il Como. Difficile, quasi impossibile, prevedere cosa passa nella testa del Profe. A Bologna, dove aveva racimolato un punto nelle prime quattro partite, sollevando più di un mugugno, adesso lo rimpiangono. E i giornalisti sorridono: impossibile azzeccare la formazione.

 Thiago è maniacale e feroce nelle proprie convinzioni: a tutti concede almeno un’opportunità, nessuno però si deve sentire intoccabile. A Spezia ha messo fuori Nzola che l’anno prima, con Italiano, aveva trascinato i liguri alla salvezza. A Bologna la sua prima vittima è stata il re Arnautovic. Tutti ne hanno fatto le spese, anche Calafiori che nella scorsa straordinaria stagione è finito spesso in panchina, ma con Thiago è diventato il giocatore per cui l’Arsenal ha investito quasi 50 milioni. L’incertezza diventa una compagna di viaggio con cui imparare a convivere nelle lunghe settimane che portano alla partita. Soltanto il portiere, che cambia spesso, conosce il suo destino per tempo. Gli altri scoprono le scelte del tecnico all’ultimo istante, a volte persino sul pullman verso lo stadio. Motta è fatto così. Lavora tantissimo, dalla mattina alla sera: studia i video, prepara gli allenamenti, raccoglie i dati, cambia spesso il capitano. E ha convinzioni precise, a volte discutibili, però sempre nette e non fatica ad assumersene la responsabilità, come quando ha spedito gli esuberi lontani dalla prima squadra, deprezzandoli e complicando il lavoro, già complicato, di Giuntoli.

Stiamo parlando di un predestinato. Enrico Preziosi, presidente del Genoa, il primo a dargli fiducia e a esonerarlo, nel momento in cui lo ha mandato via ha confessato: «Diventerà un grande allenatore». E Ivan Juric, che lo ha incrociato con il Torino, lo ha esaltato: «Guardiola in confronto a Motta è scolastico. Le squadre di Thiago non si riescono a leggere». 

È la sua forza, il calcio liquido senza ruoli fissi, il famoso 2-7-2 che ha suscitato l’ironia di qualche collega. Motta se ne frega e va dritto per la sua squadra. Uno che ama vivere pericolosamente, poco incline alle interviste, determinato sino all’esasperazione quando si mette in testa qualcosa. A Bologna ci sono rimasti male quando ha comunicato che se ne sarebbe andato, una decisione presa mesi prima, ma che il brasiliano non ha condiviso con nessuno. Ora lo aspetta la sfida più difficile della sua giovane carriera: fare risultati attraverso il gioco. A Torino vincere non è più l’unica cosa che conta. Conta farlo divertendo e divertendosi.

2024-08-21T05:51:02Z dg43tfdfdgfd