NESSUNO FERMI GLI ULTRAS, IL CIRCO DEL CALCIO DEVE ANDARE AVANTI ANCHE SE INZAGHI CONCORDA FORMAZIONE E BIGLIETTI CON LA CURVA

“Le società subiscono pressioni di livello elevatissimo. E i loro modelli organizzativi hanno manifestato delle criticità”. Fin qui Marcello Viola, procuratore di Milano, e di più e di meglio non poteva dire. Poi però ci sono le persone. Quelle che mandano avanti il circo, pur sapendo che i giocatori sono spesso milionari viziati, che i bilanci delle società sono in ordine quanto il Medio Oriente, che l’attaccamento ai colori sociali è finito con Rivera e Mazzola. Quelle persone sono davvero soltanto spettatori. Non possono neppure immaginare che gli impresari del circo non si fermino neppure di fronte ai ricatti, alle estorsioni, alla dichiarata contiguità con il crimine organizzato.

E allora, dopo la retata che ha portato in galera i capi ultras di Inter e Milan, viene da chiedersi quando accadrà che qualcuno dica basta, “i miei soldi devono finanziare il mio svago, magari anche la mia fuga dalla realtà, ma non possono sporcarsi di sangue”.

Il sangue, del resto, si spargeva già prima dei 18 arresti milanesi. Era, ad esempio, quello dei 46 poliziotti feriti dopo gli scontri fra i tifosi di Genoa e Sampdoria, in una partita di Coppa Italia. Se le promettevano da mesi, ma nessuno ha mosso un dito, e dopo la guerriglia urbana le squadre genovesi domenica scorsa erano serenamente in campo. Come ha sottolineato Viola, nell’inchiesta milanese non c’è solo Milano, e infatti è in prima linea anche il procuratore nazionale antimafia.

Ci sono Torino, Napoli e molte altre città. C’è che l’amministratrice delegata della Roma ha dovuto dimettersi per minacce a lei e alla sua famiglia, dopo aver esonerato l’allenatore De Rossi. C’è che bande di tifosi della Lazio in Germania sono arrivate con spranghe e coltelli. Ma nessuno ferma il circo. Il denaro che lo tiene in vita produce una sorta di tacita immunità, come se l’eversione fosse un’esclusiva di quattro ragazzotti nostalgici e non invece nelle concretissime associazioni a delinquere del tifo calcistico.

Chissà se, almeno oggi, a qualcuno farà effetto sapere che il campione d’Italia Simone Inzaghi concordava con i boss della curva formazione e distribuzione dei biglietti, e che i giocatori erano ostaggi di figure ammanicate con la mafia e i suoi delitti. E gli ultras del Milan, capeggiati da Belva Italia designato a sua volta da Sandokan, si districavano fra droga, pestaggi e racket delle barberie e dei tatuaggi. Non solo: gli irriducibili “nemici” della Nord e della Sud fra loro stipulavano accordi e cartelli per gestire equamente i proventi delle estorsioni su biglietti, parcheggi e merchandising.

Il circo non si fermerà. I rischi, per le società implicate, si limitano alla possibilità di finire sotto tutela giudiziaria. Come se il lasciar fare di decenni non fosse la forma più evidente di complicità. Come se le vere vittime non fossero i tantissimi che allo stadio e davanti alla tv ci vanno solo per gioco, per festa, per passione. Ma l’ipocrisia dello “show must go on” è proprio quella su cui le bande criminali hanno costruito il loro potere, foderandolo con gli stemmi delle squadre e i sogni di chi crede alla favola del “calcio giocato”.

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